Esterovestizione
Definizione e due casi reali
Esterovestizione: un fenomeno in crescita
In un mondo globalizzato come il nostro è sempre più comune per gli imprenditori detenere società all’estero.
I casi sono molteplici e vanno dalla società che delocalizza la produzione ed apre filiali in altri paesi all’imprenditore digitale il quale, spesso mal informato, apre società offshore mantenendo la propria residenza in Italia, con l’intenzione di abbattere il proprio carico fiscale.
Il fenomeno è stato così rilevante che è finito con sempre maggior frequenza sotto i riflettori dell’amministrazione finanziaria.
Costituire una società all’estero non è proibito, è diritto dell’imprenditore e nell’Unione Europea è tutelato dal diritto fondamentale dalla libertà di stabilimento, ma deve essere effettuato rispettando criteri ben precisi per non incorrere nel fenomeno di cui tante volte abbiamo parlato: l’esterovestizione. Ogni volta che viene stabilita una società all’estero senza una valida ragione economica e senza una reale attività svolta in loco siamo di fronte ad una fattispecie di pianificazione fiscale aggressiva, che è oggetto di violazione delle normative antielusive.
Residenza fiscale delle società
Per comprendere meglio cos’è l’esterovestizione, bisogna aver chiaro il concetto di residenza fiscale delle società.
Ai sensi dell’art. 73 co. 3 del TUIR, come modificato dalla legge di bilancio 2024, si considerano residenti i soggetti IRES che hanno nel territorio dello Stato, per la maggior parte del periodo d’imposta, alternativamente:
- la sede legale;
- la sede di direzione effettiva (continua e coordinata assunzione delle decisioni strategiche riguardanti la società o l’ente nel suo complesso, noto anche come Place of Effective Management o POEM);
- la gestione ordinaria in via principale (continuo e coordinato compimento degli atti della gestione corrente riguardanti la società o l’ente nel suo complesso).
Quali sono, quindi, gli elementi che possono dar luogo al fenomeno dell’esterovestizione?
- La società ha la sede legale all’estero, ma la sua attività economica è svolta principalmente in Italia;
- I soci, gli amministratori e i dipendenti della società risiedono tutti in Italia;
- La società utilizza beni strumentali (fabbricati, impianti, macchinari) e risorse umane (dipendenti) situate in Italia;
- Le decisioni sia strategiche che quotidiane della società vengono prese in Italia.
Per capire meglio il fenomeno, presentiamo 2 casi esemplificativi, ma reali.
Esterovestizione – Caso 1
Il primo è quello di un imprenditore edile italiano, fiscalmente residente nel nostro paese, che decide di costituire la propria società in Bulgaria, dove la tassazione è al 10%, ben più conveniente rispetto al 24% (IRES) + 3,9% (IRAP) italiani.
La società aveva la sede legale in Bulgaria, dove presentava la dichiarazione dei redditi e pagava le imposte, ma l’amministrazione e la gestione ordinaria venivano svolte in Italia, dal socio unico, nonché amministratore unico, ivi residente.
Nel corso di un accesso della GdF presso un cliente italiano di detta società, è scaturita un’indagine parallela nei confronti dell’impresa bulgara, che alla fine è risultata amministrata dall’Italia e quindi da considerarsi fiscalmente residente in Italia.
Il risultato è stato che tutti i redditi della società sono stati assoggettati a tassazione in Italia, con sanzioni ed interessi.
Inoltre, l’accertamento ha avuto implicazioni anche con riguardo all’IVA non versata in Italia, comportando ulteriori sanzioni a carico della società esterovestita.
Il concetto di esterovestizione, individuato dall’art. 73 co. 5-bis del TUIR, può assumere rilevanza anche sul piano del diritto penale.
In particolare, per dare una dimensione al rischio, è punito con la reclusione da due a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenti, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte, quando l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte ad € 50.000.
Esterovestizione – Caso 2
Il secondo caso si riferisce ad una recente sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di II grado della Toscana in merito alla presunta esterovestizione di una società produttrice di materiale termoidraulico, accertata per le annualità 2012, 2013 e 2014 da parte dell’Agenzia delle Entrate.
La società in questione aveva la propria sede legale nel Regno Unito ed era legata ad altra società italiana attraverso un contratto di franchising.
Nel corso delle verifiche effettuate dalla Guardia di Finanza veniva rilevato che presso la sede legale della consociata italiana:
- venivano prese tutte le decisioni amministrative che riguardavano la società UK;
- venivano determinate le politiche di vendita ed i prezzi della società estera;
- era tenute la contabilità ed erano predisposti i bilanci della società con sede nel Regno Unito attraverso supporto dell’impianto logistico, informatico, amministrativo e contabile messo a disposizione dalla società italiana;
- le due società, italiana e UK, condividevano il medesimo rappresentante legale.
Sulla base di questi elementi ed in risposta all’appello proposto dalla società accertata, i giudici hanno affermato che affinché si realizzi il fenomeno dell’esterovestizione non è necessario determinare l’elusività dell’operazione, non ha rilevanza, quindi, determinare la presenza di ragioni economiche diverse da quelle relative alla convenienza fiscale.
È necessario, invece, verificare che il trasferimento all’estero sia realmente avvenuto e non sia meramente artificioso.
E, nel caso in specie, la costituzione della società in Gran Bretagna era un puro artificio.
Inoltre, non di secondaria importanza, i Giudici hanno evidenziato come nel caso in oggetto di analisi l’amministrazione della società con sede in UK venisse interamente svolta dal socio italiano attraverso ordini e direttive che abbracciavano ogni ambito della vita aziendale della medesima.
I casi sopra esaminati possono trovare applicazione anche con riferimento a realtà più semplici, come quelle relative ad imprenditori digitali che amministrano dall’Italia società formalmente residenti all’estero, siano esse LLC negli Stati Uniti, LTD nel Regno Unito o ad Hong Kong o qualsiasi tipo di società offshore.
Quando le decisioni vengono prese in Italia o ivi si svolge la gestione degli atti in via ordinaria, la società è da considerarsi come fiscalmente residente nel nostro paese e quindi assoggettata a tassazione in Italia.
Controlli dell’amministrazione finanziaria
Vediamo ora, per concludere, quali sono i controlli che può effettuare l’Agenzia delle Entrate per determinare la residenza fiscale di una società.
Per quanto concerne la sede dell’amministrazione effettiva, il cosiddetto Place Of Effective Management menzionato dalle convenzioni contro le doppie imposizioni, le autorità solitamente verificano:
- il luogo nel quale si riunisce il Consiglio di amministrazione ovvero l’assemblea dei soci (che si presume essere il luogo in cui vengono assunte le decisioni fondamentali della società);
- la residenza degli amministratori, prestando attenzione anche coloro che possono essere considerati amministratori de facto;
- chi detiene il potere effettivo di gestione dei conti correnti bancari della società;
- l’affidamento di poteri decisionali in capo all’assemblea dei soci residenti in Italia in relazione ad alcuni aspetti chiave della gestione societaria;
- l’effettiva struttura organizzativa della società, ovvero il luogo in cui è presente un apparato organizzato composto da beni e persone, dove viene esercitata l’impresa e da dove derivano gli impulsi decisionali.
In sede ispettiva l’attenzione dei verificatori andrà posta sul reperimento di tutti gli elementi utili a comprovare, nel loro insieme, che le attività amministrative e gestionali della società formalmente residente all’estero sono di fatto svolte sul territorio nazionale.
In merito, invece, all’individuazione dell’oggetto principale dell’attività svolta dalla società, l’amministrazione finanziaria si focalizza sui seguenti elementi:
- Il luogo di svolgimento delle attività imprenditoriali;
- la residenza dei clienti;
- la localizzazione dell’effettiva gestione dei conti correnti e delle disponibilità finanziarie della società;
- l’assoggettamento effettivo alle imposte estere (come logica conseguenza della residenza nel Paese estero) e quindi la presenza di un tax certificate;
- l’eventuale possesso di autorizzazioni amministrative da parte delle autorità locali estere per l’esercizio dell’attività.
Salvo in casi particolari, spetta all’amministrazione finanziaria provare tutte queste condizioni.
Dottore commercialista e revisore legale
LLM in Fiscalità internazionale – ISDE Barcellona